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sabato 30 gennaio 2016

IL GIOCO, LA RIVISTA DELLE ESPERIENZE LUDICHE: PROVARE PER CREDERE!

“Creare una rivista ludica, nel 2015, è sicuramente una sfida concettuale.”
E ci vuole un bel coraggio, aggiungerei io alla frase con la quale Gabriele Berzoni, Responsabile di Redazione de Il Gioco, presenta il primo numero della rivista.
Ammetto senza problemi che inizialmente ero scettico sul destino di questa rivista cartacea, ne avevo parlato anche sulla community G+ dei Ludoblog Italiani aprendo un topic.
Le mie remore erano dovute principalmente al fatto che oggi più che mai stiamo assistendo ad un fiorire di blog e vlog, di cui molti davvero meritevoli di attenzione, che affiancano siti e testate storiche che svolgono un imprescindibile lavoro di informazione real time affidabile e sempre a portata di click. Come potrà una rivista trimestrale ritagliarsi uno spazio in questo mare di informazione prontamente consultabile?
In seconda battuta, e lo dico per esperienza diretta avendolo provato sulla mia pelle (qui a Idee Ludiche siamo stati infatti tra i primi a parlare del connubio musica-giochi con l’ottima rubrica di Benedetto Degli Innocenti - and Benedetto plays -, piuttosto che provare a stuzzicare la voglia di mettersi in gioco dei lettori con i geniali FantaEnigmi di Francesco Berardi), vedo purtroppo da parte degli appassionati un’accoglienza fredda per quanto riguarda tutto ciò che non tratti di GIOCO in senso stretto, ossia meccaniche, rapporto qualità-prezzo, recensioni ed anteprime.
Insomma, riassumendo la mia opinione una rivista come Il Gioco, per come è strutturata e per gli scopi che si propone, potrebbe correre il rischio di non suscitare l’interesse della massa, e questo sarebbe un vero peccato, perché le menti che si celano dietro questo pregevole progetto editoriale sono tra le più propositive nel nostro panorama ludico, gli stessi che stanno lavorando per lanciare Gioca a Casa, un’altra ardita sfida che possiede tutti crismi per dare un nuovo slancio alla diffusione del gioco in Italia.
Ma tornando a noi, ora che ho potuto leggerla posso dire che Il Gioco, la rivista delle esperienze ludiche è una lettura senz’altro meritevole di attenzione!
E’ sicuramente congeniale ad un lettore come me che ama sfogliare fisicamente le pagine e predilige gli approfondimenti e le curiosità rispetto alle recensioni.
Se mi si chiedete se Il Gioco ha quindi le carte in regola per appassionare e fidelizzare i “pigri” ed esigenti lettori italiani la risposta è sicuramente sì, a patto che chi la dirige sappia andare incontro ai gusti dei lettori, assecondandoli e, perché no, stupendoli con contenuti e collaborazioni sempre nuove; perseguendo questa via il successo non tarderà ad arrivare e sarà un piacere assistere alla rivincita del cartaceo sul digitale :)

Questo primo numero - o meglio numero zero - vanta 64 pagine a colori in pratico formato A5 suddivise in brevi e godibilissimi articoli che se fossero stati postati su FB non avrei esitato a subissare di like dal primo all’ultimo :)
Il parterre di autori e personalità ludiche che hanno aderito a questo progetto è sicuramente importante ed ognuno di loro ha contributo in modo significativo alla realizzazione della rivista.
Ma entriamo nel dettaglio parlando di ciò che trovate aprendola:
l’articolo di apertura è affidato ad Andrea Angiolino e tratta delle nostre radici ludiche, nostre nel senso di italiche, si parla di quanto fosse difficile essere autore freelance di giochi negli anni 80 e 90 del secolo scorso e di come, con impegno e dedizione, si sia arrivati ai successi dei giorni nostri. Tanti i nomi citati di autori, di editori e di riviste che hanno fatto la storia del gioco in scatola nostrano.
Si parla poi di Didattica Ludica con Andrea Ligabue, di diritti d’autore con il duello Bang! Vs SanGuoSha raccontato nei minimi particolari da Emiliano Sciarra, del gioco come strumento educativo (Gabriele Mari) e di viaggi all’interno del Dungeon (Luca Volpino).
Dopo due piccole parentesi dedicate alle ricette ludiche e ai giochi di parole affidate rispettivamente allo chef Rudy Barbi (unica rubrica la sua che mi ha lasciato qualche perplessità, non tanto per la scelta coraggiosa di proporla quanto per la reale difficoltà di legare il cibo proposto ai board games) ed Ennio Peres, si torna agli approfondimenti in compagnia di Dario De Toffoli, Leo Colovini e Umberto Rosin che ci parlano di Casa Germania, il progetto nato in occasione della prima edizione del Carrara Show per ospitare editori tedeschi che non distribuiscono i loro prodotti in Italia. 
Proseguendo nella lettura incontriamo Mario Sacchi che ci descrive le principali manifestazioni ludiche italiane ed internazionali, quelle assolutamente da non perdere.
Marco Valtriani ci introduce invece alle meccaniche che fanno da motore ai giochi, mentre Paolo Fasce ci mette in guardia sui rischi del gioco d’azzardo e di come sia più corretto parlare di Azzardopatia anziché di Ludopatia.
Più in là ci si imbatte in una peculiare ed utile “guida strategica” a Ticket to Ride proposta dal campione italiano Gianfranco Buccoliero.
Chiudono la rivista un trittico di Game Designers che rispondono ai nomi di Spartaco Albertarelli, Walter Obert e Beniamino Sidoti, i quali ci parlano rispettivamente del mestiere del Game Designer, dei segreti del pluripremiato Spinderella e del rapporto gioco-viaggio.
Completano il tutto alcune curiosità su Magic (Jacopo Borrelli), la possibile colonna sonora da associare ad una partita a Ticket to Ride (Fabio Roncati), un’intervista al club 3M ed una ai banditori dell’Asta Tosta, un simpatico fumetto di Odde ed un gioco “per 2 viaggiatori spendaccioni” proposto da Silvano Sorrentino intitolato Globedropper.
Tantissimi autori come vedete che affrontano i più svariati temi legati al gioco con cura e professionalità, ed il filo conduttore che li unisce è rappresentato dal viaggio.
“Viaggi fuori e dentro i ruoli nei mondi che creiamo e nelle professioni che ai giochi danno vita dietro le quinte, prima di dadi, carte e pedine” per dirla con le parole di Valeria Dalcore, Direttore Responsabile della rivista.

Concludendo torno a ripetere che, personalmente, non posso che consigliarne la lettura e auspicare che, al di là di ogni possibile dubbio o perplessità, Il Gioco possa trovare ampia diffusione non solo tra gli addetti ai lavori, gli aspiranti autori e le associazioni varie, ma anche tra la massa di giocatori ed appassionati che tanto avrebbe da imparare leggendo qualcosa di diverso dalla solita recensione.

I presupposti ci sono tutti, il primo numero è stato finanziato con successo, ora non resta che incrociare le dita per i 4 numeri del 2016 (vedi link in fondo).


Max_T



link a Il Gioco:
http://www.ilgioco.news/
https://www.facebook.com/ilGiocoRivista/?fref=ts

link al nuovissimo Crowdfounding:
https://www.eppela.com/it/projects/6335-il-gioco-rivista-esperienze-ludiche-anno-1


domenica 24 gennaio 2016

RIVINCITE, PIRATI E NUOVI ARRIVATI

(Rivincite)

Quando lasci tutta la parentela a casa dei suoceri a finire l’interminabile pranzo della domenica e, con la scusa del mal di testa, te ne torni a casa per rilassarti un po’, tanto là nessuno ha la minima voglia non dico di giocare, ma nemmeno di sfiorare ”l’argomento giochi”.

Quando esci a cena con amici che conoscono la tua passione ma, piuttosto che rendersi disponibili a provare qualcosa di nuovo, c’è quello che salta su e propone “ma è tantissimo che non giochiamo a Risico (talmente tanto che non sa manco più come si scrive), potremmo trovarci una sera a fare una partitina…”

Quando racconti del tuo hobby a qualcuno e questo ti guarda come se fossi un mentecatto che non vuol crescere, perché i giochi sono cose da bambini, gli adulti bevono birra e casomai giocano a poker.

Quando sei stufo di passare per quello che "...ecco, adesso stai a vedere che ci chiede ancora se vogliamo giocare a qualcosa..."

Quando tutte queste cose ti fanno sentire incompreso.
Quando pensi di avere qualcosa che non va.
Quando ti chiedi “possibile che sia circondato da persone che mi credono infantile solo perché gioco ai giochi in scatola?!”
Beh, quando questa situazione rischia di mettere in dubbio quello in cui credi, quello che ti fa stare bene, tu che fai?!

Te ne freghi!!!

E sai perché?!

Perchè a casa hai dei figli meravigliosi che non vedono l’ora di giocare con te! :D
E il bello è che sono proprio loro a chiedertelo! In barba a tutti gli scettici e detrattori del buon gioco. 
Questa è la tua rivincita!
Giocare con i propri figli è davvero impagabile, il vantaggio di avere l’hobby dei board games è che vai sul sicuro con loro, difficilmente non ti seguiranno nella tua passione. 
I bambini amano giocare, non hanno preconcetti come gli adulti, raramente devi pregarli per proporgli un nuovo gioco, e se trovi il titolo giusto non si stancano mai di rigiocarlo!
Ovviamente non si tratta di titoloni complicati eh, i miei bimbi "più grandi" sono ancora piccoli (6 e 4 anni), per loro solo cinghialini per adesso, un concentrato di divertimento, temi intriganti e semplici strategie che stimolino la loro curiosità.
E tra alti e bassi devo dire che crescono davvero bene, ludicamente parlando!
La lista dei giocabili si sta pian piano allungando e siamo già a una ventina di titoli, ultimamente vanno per la maggiore AVENGERS - Uniti per vincere -  l’ottimo collaborativo dell’amico Francesco Berardi edito da Clementoni, l’intramontabile Cartagena di Leo Colovini (edizione Ravensburger, più colorata rispetto alla versione classica e con pirati in plastica che, incredibilmente, per i bambini risultano più appetibili rispetto ai meeples lignei :D, ma di questo gioco parleremo più avanti nel post) e Piratatak della Djeco, un simpatico push your luck anch'esso a tema piratesco di 55 carte.
Ovviamente prima di arrivare a questi titoli c’è stato tutto un iter di “preparazione” durante il quale i giochi della Haba hanno fatto da apripista, primo fra tutti la Torre di Animali, seguito da una new entry della scorsa Essen, Sleepy Castle, un simpatico memory rivisitato con l’aggiunta di dischetti di legno gialli che fungono da tesoro, vince chi riesce a recuperarne di più.
Eh, la Haba non sbaglia un colpo quando si tratta di bambini piccoli. 

Sleepy Castle e Picchiatello
Ma molti altri giochi mi hanno aiutato a far crescere i miei bimbi.
Potrei ricordare i classicissimi Indovina chi? e Domino, gli irresistibili Dobble e Fantascatti, il funambolico Gino Pilotino (oggi noto col nome di Picchiatello), l’esplosiva accoppiata targata Luca Bellini Fun Farm - Brick Party, o i più sofisticati Okiya, Age of War e Carcassone (quest’ultimo accolto in verità un po’ freddamente nonostante lo proponga in versione edulcorata, senza il conteggio dei campi, al momento ancora troppo complicato per la loro età).

(Pirati)

In questi giorni mi sto divertendo a proporgli sempre più spesso Cartagena, uno dei miei preferiti tra i sopracitati perché, insieme ad Okiya, è quello che più si avvicina ai miei canoni di perfezione, ossia grande profondità in solo due regole - emblematica è la succinta descrizione del gioco che proponeva Fantavir nel suo memorabile articolo di qualche mese fa, I MIEI MIGLIORI 28 GIOCHI PER TUTTI, MA PROPRIO TUTTI: “gioca una carta per far avanzare i tuoi pirati o arretra un pirata per pescare carte”. Cartagena è assolutamente tutto qui, niente fronzoli che “coprano” la meccanica di gioco, semplicità ed eleganza allo stato puro.
Grazie alla sua essenzialità questo titolo del 2000 per 2/5 giocatori è rientrato nel novero dei raccomandati dello SdJ 2001.
L’ambientazione ci porta nel 1672, durante la fuga dalla famigerata fortezza di Cartagena. Voi sarete al comando di un manipolo di pirati che per fuggire dovranno affrontare un lungo percorso componibile, recante su ogni lato una diversa serie di simboli pirateschi (ad esempio feluca, binocolo, lanterna), che li porterà alla tanto agognata scialuppa per mettersi definitivamente in salvo. Per raggiungere questa meta comune i giocatori avranno a disposizione una mano di carte illustrate con gli stessi simboli che si trovano lungo il percorso e potranno effettuare fino ad un massimo di tre azioni ogni turno. Le azioni possibili sono quelle ricordate sopra: giocare una carta per far avanzare un proprio pirata - uno a scelta verrà posizionato sul primo simbolo libero corrispondente del percorso in direzione della scialuppa - o arretrarne uno per pescare carte - si può retrocedere un pirata su una casella che ne ospita già uno qualsiasi recuperando una carta; retrocedendolo su una che ne ospita due si recupereranno invece due carte; se una casella ospita già tre pirati non la si potrà utilizzare e si passerà oltre, retrocedendo fino a raggiungerne una con uno o due spazi disponibili. 
Cartagena
Vince chi riesce ad imbarcare per primo TUTTI i propri pirati.
Le regole prevedono anche una variante più “spremimeningi” chiamata Tortuga, decisamente più da gamers scafati, nella quale si prepara ad inizio partita un display comune di dodici carte mentre i giocatori tengono le proprie VISIBILI davanti a loro. Grazie a questa variante il fattore fortuna viene praticamente azzerato ma al contempo aumenta il rischio di paralisi d'analisi; i giocatori possono decidere se gli convenga pescare subito le carte che ritengono utili oppure avanzare aspettando di raccogliere quelle in fondo alla fila, tenendo sempre un occhio sulle carte degli avversari. Quando il display si esaurisce altre dodici carte verranno girate e messe a disposizione.
Personalmente preferisco la versione classica, molto più easy e scorrevole, ma al di là dei gusti personali non posso che promuovere a pieni voti Cartagena, un classico adatto a tutte le età, dotato di ampia rigiocabilità e ricco di interazione.
Per la mia esperienza è un gioco adatto anche ai più piccoli, avendo l’accortezza di farglielo digerire con una semplice house rule, ovvero per le prime due/tre partite spiegate loro che nelle tre azioni a disposizione potete solo giocare o pescare carte, niente regola che prevede di indietreggiare per recuperare 1 o 2 carte. Questo permette di settare il gioco su un livello strategico più basso, molto più comprensibile ai bambini di 4/6 anni.
Vedrete che quando gli spiegherete le regole complete saranno pronti a farle loro in pochissimo tempo e la soddisfazione che ne deriverà sarà ancora maggiore.
Almeno con i miei ha funzionato! :D

(Nuovi arrivati)

A breve avrei avuto intenzione di iniziare il primogenito ai segreti di Memoir ’44 (ne avevo già parlato QUI), ma molto dipenderà dall’arrivo di Gabri (eh sì, si sa che i giochi migliori sono per 4 e visto che mia moglie non dà soddisfazioni in questo senso, bisogna lavorare sulle nuove leve ed ampliare il parco giocatori familiare! :D ), prevedo infatti tempi duri con tre topolini che gireranno per casa, ci sarà da impegnarsi per riuscire a stargli dietro ed incastrare l’hobby della ludoteca al mercoledì, lo scrivere sul Blog e soprattutto il giocare con loro che diventano sempre più esigenti di partita in partita!

Ma questa è la vita di chi gioca da tavola, di chi ha una passione da molti snobbata ma assolutamente adorata dai bambini, e i bambini lo sapete, sono i giocatori di domani. ;)

Benvenuto Gabri! 
Ed è con questa consapevolezza e responsabilità (eh!) che continuerò a tener botta nelle notti insonni che ci regalerà il nuovo arrivato, con un regolamento diverso ogni sera sul comodino che, insieme al biberon, mi terrà compagnia (proprio come mi era già successo anni fa con quello di Cartagena, primo di una lunga serie) nell'attesa di, forse e chissà quando, addormentarmi tra un vagito e l’altro.

Benvenuto Gabri! 
Sappi che i tuoi fratelli sono già stati educati all'arte del gioco, tra pochi mesi il Matti compirà 7 anni e sarà pronto per l'Agoghè ludica che farà di lui un VERO Gamer, la Eli è ancora un po' piccola per certe cose ma promette bene; il germe del gioco fa parte del vostro DNA e saprà farvi crescere con una mente aperta e ricettiva, insegnandovi che, come diceva il Maestro Randolph, "si gioca per vincere, ma giocando per vincere si impara a perdere e quando si è imparato a perdere si è imparato a vivere"!


Max_T



PS: Questo articolo l'ho scritto nella notte insonne dopo la nascita Gabri (chi ci è passato sa di cosa parlo...), con il film "Pirati dei Caraibi" e "300" di Zack Snyder in sottofondo... dite che ha influito?! ;)

lunedì 18 gennaio 2016

IL GAME DESIGN VISTO ATTRAVERSO GLI OCCHI DI 12 GRANDI AUTORI

In questi cinque anni di Idee Ludiche siamo stati capaci di realizzare più di 80 interviste ai protagonisti del mondo ludico italiano ed internazionale. Durante le nostre chiacchierate con quanti si possono a buon merito definire autori affermati, che hanno fatto cioè dell’inventare giochi la loro professione, abbiamo spesso affrontato il tema del game design.
La domanda che abbiamo più frequentemente rivolto loro è sicuramente stata: “dacci una tua definizione di game design”.
Oggi abbiamo voluto raccogliere alcune delle risposte più significative che questi Autori con la A maiuscola ci hanno dato nel corso degli anni. Alcuni (come Andrea Chiarvesio) si sono soffermati cercando di dare definizioni complete su più livelli, altri (come Antoine Bauza) ci hanno dato risposte più brevi ed evasive, altri ancora (come Marco Donadoni) hanno parlato del game design dal punto di vista della formazione.
Questo articolo non mira ad esplicitare in modo esaustivo cosa sia il game design, il suo scopo è unicamente quello di condividere una bella e divertente carrellata di opinioni su un tema che, come vedrete, assume una connotazione ed un’importanza diverse da persona a persona.

Dunque cari Autori, qual è la vostra personale definizione di game design?

Leo Colovini:
Beh, difficile dirlo in poche righe. Nel mio libro "i giochi nel cassetto" dico che un autore di giochi dev'essere come un fotografo che quando osserva la realtà che lo circonda la immagina racchiusa in un rettangolo 10x15.  L'autore di giochi deve fare lo stesso, riducendo le dinamiche della vita in meccanismi essenziali e soprattutto ordinati. 

Spartaco Albertarelli:
E' una professione, qualcosa di diverso dal “semplice” processo creativo che porta alla creazione di un gioco, infatti, parlando di me stesso, non uso quasi mai il termine “autore”. Per me progettare un gioco è un esercizio più completo che non quello della sola creazione delle regole. Game design significa mettere in pratica competenze tecniche, conoscenze psicologiche, capacità di sintesi, gusto artistico e tutta una serie di altre conoscenze che maturano nel tempo. Significa studiare prima di tutto i giocatori e non semplicemente dare sfogo alla propria creatività. 

Andrea Chiarvesio:
Un piacere, qualcosa che non riesco a fare a meno di fare… :)
Uhm forse tu - e chi ci legge - si aspetta una risposta un po’ più filosofica, del tipo “qual è l’essenza del game design”?
Ci sono mille risposte possibili, tutte valide.
E’ un mestiere, tanto per cominciare, molto creativo ma pur sempre un mestiere. Che ha le sue regole, di cui molte si apprendono con l’esperienza.
E’ una forma di espressione di sé, un modo per creare mondi regolati da un insieme di norme, di raccontare storie con un mezzo diverso dal romanzo o dal cinema o da una canzone ma pur sempre un modo per esprimersi, quindi anche un’arte, se vogliamo.
Da qui deriva la domanda sul game design che tutti fanno: arte o mestiere? Credo che l’unica risposta possibile sia: entrambi (come per lo scrivere, il fotografare, dipingere, comporre canzoni ecc…).
Provo a leggere la domanda come “cosa fai tu quando dici a te stesso ‘sto facendo game design’?”
Credo che sia cercare di fornire ad un pubblico (magari anche solo te stesso ed i tuoi amici) un insieme di regole e materiali che vada a creare un “mondo” ludico, possibilmente: coerente, funzionante e funzionale, divertente, originale per quanto possibile.

Ignacy Trzewiczek :
Un lungo processo di duro lavoro, frustrazione, delusioni che a un certo punto si spera portino ad un lieto fine e alla creazione di qualcosa di divertente.

Ted Alspach:
Il game design è costruire una storia giocabile, dove ogni giocatore tesse un diverso arco narrativo di quella storia e quello con la migliore narrazione diventa il protagonista e vincitore.

Antoine Bauza:
La mia definizione “breve” è di sicuro : “È tutta una questione di far sì che le persone si divertano”.

Bruno Cathala:
Per quanto mi riguarda il game design è simile allo story telling (narrare storie), ma in questo caso i  giocatori sono gli attori di queste storie.

Matthias Cramer:
La formula magica del game design è molto semplice : playtesting, playtesting e ancora playtesting. Se non hai difficoltà a trovare persone disposte a “playtestare” i tuoi giochi sei già nella direzione giusta.

Tom Lehman:
Non mi preoccupo particolarmente delle definizioni. Il mio scopo è sempre di creare un game play avvincente con strategie multiple e decisioni interessanti da ponderare, che forse possa “raccontare una piccola storia”.

Martin Wallace:
Se mettete a nudo un gioco fino al nucleo quello che ottenete è un insieme di condizioni di vittoria e poi un sacco di regole per rendere meno evidente quale sia il modo migliore per soddisfare tali condizioni. Tuttavia, un gioco deve essere anche stimolante, e questa è la parte più difficile riguardo la progettazione di un gioco.

Uwe Rosenberg:
Riunisco insieme varie idee in modo che idealmente possano dipendere tutte le une dalle altre. Ci sono tante buone idee, ma i giochi veramente buoni nascono solo se esse vengono amalgamate in modo ideale. Quando invento procedo sviluppando un’idea “stimolante” (…). Intorno a questa idea “stimolante” sviluppo un tema e la guarnisco con altre piccole idee che si adattano a quello specifico tema. L’idea cardine è invece l’elemento “WOW!” del gioco, è quella che salta agli occhi, che al primo impatto stimola l’impulso di comprare. Anche se non deve essere necessariamente il motore trainante del gioco. (…)

Marco Alberto Donadoni:
(A Marco abbiamo in realtà chiesto: cos’è per te il GAME DESIGN e come rientra nell’ottica del concetto di formazione?)
Come ha detto giustamente qualcuno, un gioco è sempre un meccanismo che simula qualcosa: la differenza fra progettare gioco da mercato e gioco da formazione è forse l’inversione dei punti di partenza. Nel primo caso può essere che si decida come una certa idea/metafora, ad esempio la conquista del West via ferrovia, sia un tema divertente e markettaro, quindi si progetta un gioco in cui nell’analisi delle attività si inseriranno soldi e relazioni fra giocatori per vedere chi è più abile a diventare per primo un miliardario. Nel secondo può succedere che, partendo dall’esigenza di mettere sotto analisi le capacità soft di partecipanti all’aula in tema di relazione e gestione finanziaria,  si studi un progetto di gioco d’aula che usi una metafora utile a questo scopo, ad esempio la conquista del West via ferrovia. 
Un’ ulteriore e significativa  differenza sta nel fatto che alla fine del primo caso ci si accontenta di esser contenti di aver vinto o perso, nel secondo si deve lavorare su cosa è successo per identificare cosa ha fatto vincere o perdere.
Per il resto l’approccio al tema è quasi identico.
Analisi: cosa rappresenta il tabellone? cosa sono i giocatori? qual è l’obiettivo? quali sono le risorse da usare?
Sviluppo: quante mosse può durare? come si coinvolgono tutti fino alla fine? c’è bilanciamento fra le parti? L’obiettivo scopo del gioco è raggiungibile?
In più un gioco formativo deve tenere conto di un elemento importante:  che i partecipanti magari non sono venuti spontaneamente con la voglia di giocare, magari hanno i loro cavoli in testa, magari odiano il gioco, magari hanno paura di essere giudicati  in base ai risultati… quindi regole semplici, riferimenti il più possibile chiari a grandi meccanismi noti (tipo la scopa, Monopoly, la ghigliottina di Conti su Rai1, Trivial e così via) che non fanno perdere tempo su regolamenti sconosciuti, attenzione - se è quello il caso - a spiegare che non si gioca per vedere chi è più bravo ma per aiutarli a crescere insieme, anche scontrandosi fra loro.


Come vi avevo anticipato non è semplice dare una definizione univoca del concetto di game design.
Gli Autori italiani hanno risposto in modo più approfondito ed attinente alla domanda, spiegando come il game design sia una professione e necessiti, per essere svolto nel migliore dei modi, di competenze specifiche che maturano grazie all’esperienza ed allo studio.
Gli Autori stranieri hanno invece più che altro spiegato a cosa puntano nel realizzare un titolo e quali vie percorrono per arrivare a progettare e sviluppare un gioco, ma questa differenza probabilmente è dovuta sia ad un “problema” di comunicazione (è già difficile realizzare interviste con autori italiani, figuratevi proporle ad autori che stanno dall’altra parte dell’oceano!) che di traduzione, ovvero in inglese la domanda “give us your definition of game design” può essere anche intesa come “definisci cosa sia per te la progettazione del gioco da tavola”, il che ha portato a risposte molto più variegate ma assolutamente interessanti. 

Ammetto che è stato davvero piacevole rileggere e riunire queste testimonianze raccolte nel corso di un lustro di attività; non so voi, ma mentre le stavo assemblando più di una volta mi è venuto da chiedermi “chissà se qualcuno di loro nel frattempo avrà cambiato idea?” :)

Un saluto a tutti, 


Max_T

martedì 12 gennaio 2016

“(YOUR NAME HERE) AND THE ARGONAUTS”: UN SOLITARIO IN CONTINUA EVOLUZIONE.

Tanto per rimanere sull’argomento “giochi che mutano nel tempo” oggi mi piacerebbe parlarvi di un ottimo solitario Print and Play dal bizzarro titolo: “(Your Name Here) and the Argonauts”.
Questo card game è stato realizzato da Mike Arlington per partecipare al solo print and play contest indetto da BGG nel 2012 e finito poi tra i nominati per il Golden Geek Best Print & Play Board Game Nominee del 2013 (in compagnia, tra gli altri, di 8 Minute Empire, Coin Age e Tiny Epic Kingdoms).
(Your Name Here) and the Argonauts - che per comodità d’ora in poi chiamerò semplicemente Argonauts - è ambientato nell’antica Grecia e voi vestite i panni di un eroe che, aiutato da una ciurma di fedeli soldati ed un dado a sei facce, deve affrontare mostri mitologici e recuperare tesori contenuti all’interno del mazzo di gioco (inizialmente composto da 30 carte avventura) il tutto cercando di arrivare con almeno un membro dell’equipaggio vivo quando terminerà il mazzo.
Dove sta la particolarità?
Eccola, il mazzo di gioco e le abilità del personaggio mutano nel tempo e, come nella migliore tradizione delle leggende greche, crescono in maestosità e difficoltà ogni volta che vengono raccontate. 
Questa semplice idea mi ha esaltato!
Il meccanismo tramite il quale si realizza questa crescita è molto lineare: ogni volta che riuscite a terminare vittoriosamente una partita guadagnate la possibilità di migliorare “l’equipaggiamento” che il vostro personaggio potrà procurarsi per affrontare le sfide successive ed al contempo le carte (mostri o tesori) che siete riusciti a collezionare incrementano di una tacca il loro livello di difficoltà (ognuna di loro ha una level track che va da 1 a 6 e sottolineo il fatto che questa crescita vale anche per i tesori, più li utilizzerete e più sarà difficile ottenerli di nuovo!).
Chi mi conosce sa che non sono tipo da Print & Play, in Argonauts mi ci sono imbattuto per caso cercando su BGG qualche gioco dall’ambientazione mitologica e, una volta letto il titolo, ovviamente non ho resistito alla tentazione di saperne di più.
Tra tutti i Print & Play confesso che questo mi è particolarmente congeniale perché non si devono ritagliare tonnellate di carte, il mazzo è formato infatti da solo 52 carte (6 fogli da 9 carte l’uno, 30 delle quali rappresentano il mazzo avventura iniziale, 22 formano il mazzo di riserva e l’ultima è la Player Card utilizzata per tenere traccia degli Atti Eroici guadagnati), alle quali vanno aggiunti una matita, un d6 e 15 token/pedine/meeples che rappresentino l’equipaggio di argonauti.
Dotazione minimale e poco tempo da dedicare alla noiosa fase di taglio e cucito. Aggiungiamoci che è un solitario le cui singole partite durano 10/15 minuti l’una ed otteniamo il gioco perfetto per chi ha sempre i minuti contati, dovendosi barcamenare tra i bimbi piccoli ed una moglie che proprio non ne vuol sapere di sedersi al tavolo di gioco!
Ma torniamo a noi, ecco come si gioca ad Argonauts:
set up velocissimo: si parte con 12 elementi dell’equipaggio a disposizione, si mischia il mazzo avventura contenente carte tesoro, mostro e benedizione e si rivelano le prime 3 carte a rappresentare le quest da affrontare.
Si decide ora come suddividere i membri dell’equipaggio nelle 3 quest. A questo punto non resta che scegliere la prima che si vuole tentare di risolvere e lanciare il dado. Il risultato del dado va sommato al numero di argonauti impegnati nella quest prescelta e se il totale è maggiore/uguale al livello di difficoltà della carta la quest è risolta a vostro favore. Se si tratta di un mostro verrà posto nella Victory Pile, se si tratta di un tesoro verrà invece accantonato per essere utilizzato nel corso dell’avventura.
Nel caso in cui il totale sia inferiore al livello di difficoltà della carta (oppure si è scelto di non assegnare nessun membro dell’equipaggio alla quest in esame), questa verrà posta nella Discard Pile e, se la carta rappresenta un mostro, dovete eliminare dal gioco un numero di argonauti pari alla Deadliness del mostro che non avete sconfitto.
Nel fortunato caso venga estratta una Benedizione gioite! Questa non richiede nessun uomo da schierare, serve solo a darvi un po' di respiro tra un combattimento e l'altro, permettendovi di concentrarvi sulle altre quest estratte, potendo disporre di un maggior numero di argonauti da dedicargli.
Una volta risolte le prime 3 quest si recuperano i membri dell’equipaggio rimasti e si prosegue con una nuova fase di estrazione carte, assegnazione ciurma e risoluzione.
Se una volta esaurito il mazzo di gioco avrete ancora almeno un argonauta vivo congratulazioni, avete vinto!
Prendete tutti i tesori che avete collezionato e metteteli nella Victory Pile. Di ogni carta nella Victory Pile flaggate il primo slot libero a destra della level track (se sul livello c’è la dicitura “ADD” bisogna aggiungere al mazzo di gioco, prendendola dal mazzo di riserva, la carta indicata). Flaggate una casella a scelta della Player Card e prendete il bonus corrispondente. Ricostituite un nuovo mazzo di gioco unendo le carte upgradate provenienti dalla Victory Pile e quelle della Discard Pile e via, ora siete pronti ad affrontare una nuova avventura.
Se quella che avete flaggato è l’ultima casella disponibile sulla Player Card significa che avete raggiunto una vittoria completa! Per il vostro eroe è giunto il momento di ritirarsi, dopo aver scritto una storia leggendaria degna di essere raccontata per i secoli a venire! :D 

Il gioco è molto divertente ma tosto, va detto. Più si va avanti più è difficile vincere, ma non impossibile.
Ogni volta che uccidi un mostro o guadagni un tesoro questi aumentano di livello e metterli nella Victory Pile sarà sempre più complicato (alcuni dei mostri aumentando di livello ti obbligheranno ad inserire nel mazzo di gioco altre carte mostro prese dalla riserva, per esempio il Typhon al livello 3 dice di inserire la Chimera, oppure la Echidna al livello 2 ti fa inserire il Nemean Lion ed al livello 4 la Sphinx*) d’altra parte ogni volta che porti a termine con successo un’avventura anche tu puoi guadagnare utilissimi upgrade flaggando la Player Card (alcuni sono semplici benedizioni altri preziosi tesori altri ancora ti permettono di aumentare la tua ciurma iniziale).

La presenza del dado si sente, inutile negarlo, ma non è così fastidiosa come potrebbe sembrare. Una suddivisione attenta dell’equipaggio nella fase di piazzamento aiuta parecchio la buona riuscita della quest. Poi non dimentichiamo che siamo di fronte ad un push your luck, un po’ di variabilità ci vuole!
E a proposito di variabilità sottolineerei il fatto che Argonauts ha una rigiocabilità molto elevata. Ogni partita è diversa dalle altre grazie al mazzo che muta continuamente e si arricchisce di nuove carte. In più una volta ottenuta la vittoria completa si potrà comunque rigiocare una nuova campagna impegnandosi ad ottenere un numero di sconfitte sempre minore (la mia prima campagna è terminata con un totale di 7 vittorie e 5 sconfitte… non sarà affatto semplice migliorarmi!).

Argonauts non rappresenta una novità assoluta, ma l’ambientazione ben resa, l’idea di fondo e soprattutto la motivazione del perchè cresca il livello di difficoltà delle carte man mano che si procede è sicuramente meritevole di attenzione!

Io mi sono scaricato la versione in bianco e nero, assolutamente funzionale per capire il gioco, esiste ovviamente anche la versione a colori impreziosita da ottime illustrazioni ma, visto che per giocarci bisogna in qualche modo segnare le carte, e lo sapete quanto ci tenga all’integrità dei MIEI giochi, prima di stamparmi le carte definitive sto cercando di escogitare qualche stratagemma per renderle utilizzabili all’infinito senza rovinarle.
Al momento sto usando una matita morbida che si cancella facilmente con la gomma, ma mi piacerebbe eliminare tutto ciò che rallenta ed intacca il gioco.
Su BGG c’è la proposta di un utente che prevede di stampare nuove carte con una level track circolare, ma personalmente non mi soddisfa molto (la trovate QUI).

Facciamo così, se qualcuno che proverà questo Print and Play avrà anche la voglia di trovare una soluzione funzionale e veloce me lo faccia sapere, perchè Argonauts è un solitario davvero appassionante, con una semplice meccanica di push your luck in grado di tenervi incollati alla sedia nel tentativo di superare un’avventura dopo l’altra per far entrare il vostro nome nella leggenda. 
Io ce l’ho fatta, ora la mia copia  del gioco ha un titolo decisamente più accattivante, si chiama “Max and the Argonauts”, vuoi mettere! :D


Max_T




Senza dubbio siamo di fronte ad una ambientazione ben resa: ogni carta ha un suo perché, anche in questo caso specifico tutto torna, infatti Tifone nella mitologia si unisce a Echidna e da loro verranno alla luce la Chimera, il Leone di Nemea, la Sfinge ed altri simpatici mostriciattoli come l’Idra (presente anche lei nel mazzo con una funzione molto particolare, infatti ogni volta che aumenta di livello - e la sua Deadliness diventa devastante in breve tempo, è l'unica che arriva ad uccidere fino a 4 argonauti -  tu puoi flaggare un Atto Eroico addizionale sulla tua Player Card. La questione dunque è: sconfiggerla per ottenere bonus o non fronteggiarla affatto per evitare di sacrificare troppi uomini? Questa è solo una delle ardue scelte che vi troverete ad affrontare giocando ad Argonauts).

mercoledì 6 gennaio 2016

LEGACY OR NOT LEGACY, THAT IS THE QUESTION!

Diciamolo, è un po’ l’argomento del momento: Pandemic Legacy merita di stare al primo posto nelle classifica di BGG?! E’ davvero un gioco destinato a rimanere nell’Olimpo dei Boardgames o sarà solo un fuoco di paglia?
E qui ci starebbe un bel “ai posteri l’ardua sentenza”, ma noi vogliamo capirlo subito invece, e per far chiarezza ne parliamo con dei giocatori che lo hanno già provato e ne sono rimasti incantati.
A far da contraltare a chi ne decanta le lodi ci staremo io, che assumerò il ruolo dello scettico, ed un ospite d’eccezione…rullo di tamburi… Il German Fighetto in persona!
Prima di cominciare ci tengo a sottolineare il fatto che, sebbene io non abbia ancora avuto l’occasione di provare Pandemic Legacy, non discuto affatto l’esperienza di gioco che se può trarre, anzi, sarei molto curioso di viverla, sono sempre aperto a nuove esperienze ludiche anche “non convenzionali”!
Detto questo, il mio scetticismo nasce principalmente da tre considerazioni:
1) mi infastidisce oltremodo il fatto di dover  strappare carte o qualsiasi altro componente del gioco, è una cosa che non riesco a concepire. Io un gioco non potrei MAI e poi MAI trattarlo in siffatta maniera, per questo non acquisterei MAI Pandemic Legacy.
Ci giocherei sicuramente, lo ripeto, per provare questa esperienza di gioco unica ed irripetibile, ma non potrei mai far del male ad un gioco! :D
2) il fatto che un gioco Legacy sia pensato principalmente per un gruppo “chiuso” di giocatori e che sia preferibile giocare tutta la campagna con le stesse persone è un altro fattore per me limitante. So che si possono cambiare compagni di viaggio, ma se inizi un’avventura con una certa compagnia è poi brutto cambiare in corsa…
3) e poi c’è la questione che se lo conosci già non è consigliabile rigiocarlo da capo, anche cambiando compagni di gioco, perché il bello del gioco sta nelle congetture e nella scoperta di ciò che accadrà compiendo determinate scelte. Un po’ come succede in Sherlock Holmes Consulting Detective, se hai già giocato/risolto un caso che gusto c’è a rigiocarlo, anche cambiando giocatori?!
Molti metterebbero un quarto punto, ossia che Pandemic Legacy è difficilmente rivendibile una volta ultimata la campagna, poiché il tabellone ed i mazzi di carte sono irrimediabilmente modificati (anche se gli adesivi sul tabellone mi dicono essere facilmente staccabili). Questo non lo vedo sinceramente come un grosso problema, io che di giochi ne rivendo davvero pochi, e comunque non è che una volta ultimata la campagna lo devi per forza buttare, ti rimane lo stesso un titolo giocabile, con regole modificate, ma comunque giocabile.
Infine c’è chi la butta sulla mera manovra commerciale da parte degli editori, ma anche questo punto poco mi tange, non mi lascio andare a facili entusiasmi e non sono un acquirente compulsivo, ho sempre fuggito i giochi collezionabili e se Legacy è (come credo anche io del resto) frutto di una manovra commerciale per vendere di più, beh, io di certo non asseconderò questa moda.
Io mi fermerei qui con le considerazioni da profano, passerei adesso la palla a chi invece Pandemic Legacy l’ha giocato eccome:

Nylo:
anche io ero scettico sul gioco, avevo quasi tutte le perplessità esposte da Max ma una volta superati i preconcetti, complici anche i feedback di Lollosven e co. ed il rating su BGG, ho optato per l’acquisto.
L’esperienza di gioco è unica, sorprendente, avvolgente, qualcosa che raramente un amante dei german come me aveva provato. Una partita tira l’altra, la curiosità è sempre tantissima poiché le sorprese sono sempre dietro l’angolo: prima, durante e dopo ogni missione.
Sul fatto che sia un’operazione di Marketing, sì e no, tutto è marketing! 
Sul fatto del gruppo che deve essere sempre quello sì e no, non è obbligatorio, è ovvio che l’esperienza di gioco ne guadagna!
Il fatto di rivenderlo, quello non è un problema, “dicembre” dovrebbe essere sempre rigiocabile da quel che so e comunque mi aspetto una season 2 o comunque moduli aggiuntivi.
Infine, sul fatto di dover modificare i componenti di gioco, modificare il tabellone o i personaggi, è una figata, strappare le carte, beh… quello un po’ meno ma alla fine si può sempre ovviare accantonandole in un angolo della scatola :)

Lollosven:
“Mio Caro Max, rispondo molto volentieri alla tua cortese richiesta di un’opinione su Pandemic Legacy, visto che ho avuto la fortuna di giocarlo fino al termine nel corso di due mesi con un gruppo fisso di quattro giocatori che si è trovato quasi ogni sabato per portare a termine l’avventura.
Ritengo necessaria una nota iniziale, come ben sai nella nostra ludoteca vi sono molti “drogati” di bg e il numero di titoli vecchi e nuovi presenti ogni settimana non mancano mai, rendendo difficilissimo il rigiocare allo stesso gioco con una certa costanza. Questo implica che se da una parte alimentiamo la curiosità di provare altre meccaniche ed altre ambientazioni, non si riesce quasi mai a sviscerare un gioco fino in fondo - per quanto gradito - dedicandogli più di 2-3 partite durante l’anno.
E’ il vecchio problema che spesso affrontiamo: abbiamo più giochi che tempo necessario a sfruttarli fino in fondo. 
Classifica BGG del 04-01-16

Ben venga quindi Pandemic Legacy che ci ha preso fin dalla prima partita con le sue “sorprese” che, come un buon disaster movie, ci ha tenuto incollati al tavolo con la curiosità di vedere come sarebbe proseguita la storia.
Molti si lamentano della mancanza di rigiocabilità una volta terminata la campagna e i suoi 12 mesi; tutto vero sebbene con piccoli accorgimenti (non distruggere le carte ma rimuoverle ed una volta terminata l’avventura rimuovere gli adesivi sul tabellone) sia possibile giocare alla versione base di Pandemic.
A prescindere però da questo aspetto rimane il fatto che per 2 mesi e circa 10 serate ci siamo ritrovati insieme, abbiamo organizzato serate pizza e virus con una colonna sonora ad hoc (consiglio Cliff Martinez autore di soundtrack come Contagion e The Knick) e abbiamo vissuto un’esperienza diversa dal solito (amatissimo) german.
Alla fine il suo costo è stato, almeno per me, ampiamente ripagato e onestamente non vedo l’ora che esca una season 2, per ritrovare il team di esperti del CdC di Atlanta al lavoro per sventare una nuova terribile minaccia in grado di spazzare via l’umanità.

Ricky:
Cosa dire di Pandemic Legacy: la Prima partita ci si ritrova a giocare fondamentalmente una partita a Pandemic a parte qualche piccola nuova regola , ma già dalla prima partita la tensione è più alta, si pensa due volte prima di fare un'azione e la collaborazione al tavolo aumenta; si cerca di evitare gli out break nelle città perché una volta esplosa la città ne rimarrà segnata per sempre.
Le successive partite sono come una serie TV dalla quale non riesci a staccarti, un episodio tira l’altro, vorresti sapere sempre come va a finire ed ogni volta uno o più colpi di scena aumentano la voglia e la tensione. 
Il gioco evolverà acquistando complessità e profondità insieme all’esperienza acquista dai giocatori.
Le sorprese non mancheranno mai ad ogni partita e ogni partita sarà sempre diversa.
Una volta provato Pandemic Legacy non si tornerà più indietro al classico Pandemic - garantito.

Marcello:
Allora!! Pandemic Legacy, personalmente parlando, è stata una vera sorpresa.
Prima di giocare mi aspettavo semplicemente una versione più articolata del classico Pandemic con una grafica e materiali migliorati. La parte Legacy invece cambia completamente il gioco.
Da subito ne sono stato rapito. Il vero punto di forza per me è il perfetto connubio tra Gioco di Ruolo e Board Game. La voglia di giocare mese dopo mese sale sempre di più come fosse una sessione di gioco di ruolo. Per ora grazie alla sua storia accattivante e alle sue meccaniche che ti tengono legato al gioco è il miglior collaborativo a cui abbia mai giocato. Anche la longevità del gioco non è un fattore di poca importanza. Si possono fare da un minimo di 12 ad un massimo di 24 partite. Io per finirlo ce ne ho messe 17, che sono comunque più delle partite fatte a  quasi ogni gioco che ho a casa.

… e per finire il commento più atteso,

Il German Fighetto:
Pandemic Legacy è un incubo. Da quando è uscito non si parla d’altro. 
Nessuno che si occupa più delle onerose funzioni svolte da balivi e prevosti, nessuno che terraforma, nessuno che alleva animali, coltiva campi e sfama la propria famiglia. Milioni di meeples morti di fame, freddo, povertà.
Tutti novelli medici in prima linea, pronti invece a scoprire cure a malattie improbabili (alle quali il gioco non si preoccupa neanche di dare un nome). 
Sostanzialmente in questo pessimo ameritrash devi rimuovere cubetti DI PLASTICA (aaaargh) per salvare la vita ad altri ameritrasher sparsi per il mondo. Secondo voi il German Fighetto può sporcarsi le mani in operazioni di poco conto come queste?
L’apice dello scandalo è che Pandemic Legacy è diventato in pochissimo tempo numero uno nella chart di BGG, la bibbia di ogni German Fighetto, superando Terra Mystica e facendoci spendere un sacco di soldi in benzina (link fb). Unica piccola nota positiva è che almeno quel concentrato di alea di Twilight Struggle non è più al primo posto. 
Per concludere vi invito a stare lontano da Pandemic Legacy, fortunosissimo gioco chiaramente ispirato a Risk Legacy, ovvero a Risiko… Risiko (aaaaargh, mi si scioglie la tastiera tutte le volte che lo scrivo!!!) e vi ricordo che “Ogni volta che nel mondo viene stracciata una carta di Pandemic Legacy, un German Fighetto muore”. 


Beh, questo è quanto siamo riusciti a raccogliere e pubblicare, purtroppo per voi questo in realtà è un "Articolo Legacy" e, in base alle scelte fatte in precedenza, vi siete persi altri 2/3 commenti davvero spettacolari che avrebbero potuto cambiare radicalmente l’opinione che vi siete fatti fin qui… ma tant’è: Legacy, o lo ami o lo odi! ;)



Max_T



(Un grazie agli Amici intervenuti, tutti gamers della Ludoteca Galliatese)

venerdì 1 gennaio 2016

LUIGI FERRINI A IDEE LUDICHE

Chi vi viene in mente se vi dico: Il Gioco Inedito di Lucca, DV Giochi, i Fumetti Pallosi e, ultimamente, lo splendido The Golden Ages?
Esatto! L’Ospite odierno di Idee Ludiche, nonchè il primo del 2016 appena iniziato, è proprio il livornese Luigi Ferrini!
Per l’occasione abbiamo scelto un intervistatore d’eccezione: il nostro Francesco Berardi!
A voi! :)


1. Ciao Luigi, benvenuto sul blog di Idee Ludiche. Dai, raccontaci un po' di te: cosa fai nella vita e come sei diventato game designer?

Ciao a tutti e grazie di avermi invitato!
Nella vita faccio l’informatico in un ente pubblico. Game designer invece lo sono da sempre, fin da quando da piccolo rifacevo la plancia del Monopoly per metterci le vie del mio paesello. Un’idea che mi è stata copiata, peraltro, visto che pochi anni fa in Germania c’è stata una serie di edizioni di Monopoly dedicate alle principali città tedesche… ma sto divagando.
I miei primi prototipi li ho presentati al concorso per il miglior Gioco Inedito di Lucca, quando ancora la selezione si svolgeva in fiera con giuria popolare. Da allora non ho mai smesso di inventare e progettare, anche se per un lungo periodo l’ho fatto soprattutto da sviluppatore, “dietro le quinte di giochi altrui”.

2. L'anno scorso il tuo nome è salito alla ribalta tra gli appassionati grazie a The Golden Ages. Puoi raccontarci qualcosa di questo gioco? Non solo una descrizione, vogliamo qualche aneddoto e anche sapere come ti è venuta l'idea!

Mi piacerebbe dire d’essere scivolato nel bagno e di aver avuto l’idea sbattendo sulla porcellana della vasca, purtroppo la verità è molto più prosaica. Adoro da sempre i giochi di civilizzazione, ma non ci gioco mai perché durano troppo. Volevo un gioco di civilizzazione che piacesse prima di tutto a me, con poca guerra, molte possibilità e durata contenuta. Siccome non ce n’era uno in giro che mi piacesse del tutto, allora me lo sono fatto da solo. Che io sia riuscito o meno a centrare l’obiettivo, comunque, non spetta a me dirlo.
Per la descrizione delle regole, e per qualche considerazione più approfondita sulle scelte di design, vi rimando all’apposito blog: http://tgaboardgame.wordpress.com/
Il primo aneddoto che mi viene in mente riguarda il nome del gioco. In fase di lavorazione, il prototipo si chiamava “Era”. Ti lascio immaginare la miriade di battute originalissime che questo scatenava, perciò abbiamo pensato che l’imperfetto del verbo essere non fosse il titolo migliore. Successivamente abbiamo vagliato “Historia”, ma sembrava evocare un po’ di scolastica tristezza e quindi siamo arrivati al nome attuale, che mi piace davvero molto.
Nel frattempo sono usciti altri giochi con tutti i nomi scartati: “Era” (https://www.boardgamegeek.com/boardgame/155582/era), “Historia” (https://www.boardgamegeek.com/boardgame/157096/historia) e infine la sua espansione “Historia: Golden Era” (https://www.boardgamegeek.com/boardgameexpansion/161294/historia-golden-era), che raggruppa tutti e tre i nomi facendo il grande slam! :)

3. Ma in realtà, sfogliando il tuo profilo su BGG, oltre a TGA e alle sue espansioni, si trovano alcuni titoli come Dieci, Moby pick (che ho avuto modo di provare) e il bonsai Out!, tutti giochi realizzati per la dV Giochi. Per non parlare di Reggi un attimo, un gioco edito nel 1996 che non sono ancora riuscito a provare. Puoi descriverceli brevemente e dirci a quale sei più affezionato?

Reggi un attimo! è il mio primo gioco edito (ne è coautore Leonardo Dolfi) e quindi ci sono molto affezionato. Ha avuto diverse incarnazioni internazionali (è uscito per Amigo e Pressman Toys) ed esistono altri giochi che ne hanno ripreso l’idea di base, migliorandola (uno su tutti: La danza delle uova). In soldoni, il gioco consiste nel liberarsi da una serie di oggetti che si tengono in braccio, ma usando per questo soltanto la mano sinistra. Anche qui c’è un curioso aneddoto (immaginate che lo stia dicendo con la voce di Andrea Angiolino) che riguarda la genesi del gioco: io, il Dolfi e una nostra amica eravamo in spiaggia e, al momento di rientrare a casa, abbiamo iniziato a passarci gli indumenti e le borse nel tentativo di rivestirci senza dover appoggiare le borse e gli abiti sulla sabbia. Ci siamo detti l’un l’altro “Reggi un attimo!”, finché l’oggetto di partenza non è tornato a chi lo aveva passato per primo, al che ci siamo guardati e abbiamo detto “no! Dobbiamo assolutamente farne un gioco!”.
Moby Pick è un gioco rapido di memoria e destrezza, la cui idea è nata mentre leggevo un libro di psicologia cognitiva (e no, qui l’aneddoto è davvero troppo lungo). Dieci invece è un gioco celebrativo per i 10 anni di dV Giochi, realizzato a mille mani da tutti gli autori dV. Devo ammettere che di mio nel gioco c’è davvero poco o niente: durante lo sviluppo infatti io ho ricoperto l’ingrato ruolo di quello che proponeva idee perché… tutti gli altri le bocciassero! Senza scherzi, in uno sviluppo a più mani anche questo serve: spesso si opera una scelta nella consapevolezza che l’altra strada proposta non porta nella direzione giusta.

4. A proposito di dV Giochi, ti vedo spesso bazzicare con loro. Che ruolo occupi all'interno dell'azienda?

Ah, nessun ruolo aziendale! Ho pubblicato con loro, certo, ho collaborato allo sviluppo di diversa roba e sono ancora coinvolto sul playtest di alcuni dei giochi in uscita, ma li frequento principalmente perché sono degli amici. Proprio nel senso di amici, tipo di quelli che ti invitano a cena la sera, o che ti fanno fare da padrino al battesimo dei figli (ciao, Luca!).

5. So che poi ti occupi del Premio per il Miglior gioco inedito a Lucca Comics & Games. Come reputi questa esperienza?

Trovo che sia tra le esperienze più formative che si possano fare nell’ambito del game design. Analizzando gli errori di centinaia di giochi si impara tantissimo. D’altro canto, come giuria cerchiamo di fare in modo che sia un’occasione di vera crescita per i partecipanti; tutti i giurati si prodigano, forti dell’esperienza accumulata in vari ambiti, con lo scopo di spiegare agli aspiranti autori che cosa sbagliano e dove, ma soprattutto cercando di fornire gli strumenti per saper riconoscere e risolvere gli errori di design. Per esempio quest’anno a Lucca insieme a Domenico Di Giorgio (beh, a essere onesti ha fatto quasi tutto lui…) abbiamo incontrato i partecipanti al concorso ammorbandoli in due ore fitte di seminario su questi temi.
Il concorso di Lucca forse “affoga” un po’ nella comunicazione del festival, vista la quantità di eventi e di ospiti più importanti di noi, però forse ogni tanto merita ricordare che Gioco Inedito ha contribuito a far conoscere vari “nomi noti” del mondo del game design. Tra i vincitori ricordo Alessandro Zucchini, Paolo Mori, Stefano Castelli, Luca Bellini, Din Li… e potrei fare molti altri nomi di partecipanti che sono passati sotto le nostre grinfie pur senza vincere (Walter Obert, Francesco Berardi…). Se poi ci allarghiamo alle edizioni più “antiche”, di quando ancora c’era solo una giuria popolare, allora arrivano anche i nomi di Emanuele Ornella, Carlo A. Rossi, ecc. (qua tutto l’albo d’oro: http://www.luccacomicsandgames.com/it/2015/games/gioco-inedito/albo-d-oro/).


6. Cambiamo argomento e parliamo di enigmi. Vedo che sei uno dei solutori più affezionati ai miei FantaEnigmi, ma so anche che ti diverti ad idearne, come ad esempio in occasione di Mucca Games. Ti piace di più inventare enigmi o giochi da tavolo? Differenze?

Inventare un enigma è un’attività molto diversa dall’ideare un gioco da tavolo, ma ritengo che entrambe le esperienze abbiano alla base il medesimo processo, che è poi lo stesso che si ritrova in ogni altro ambito creativo. Se scrivo un fumetto, un racconto, un’avventura per gioco di ruolo, c’è sempre un primo passaggio, più o meno cosciente, in cui mi chiedo “chi” fruirà di ciò che realizzerò. Con questo in mente, tutto diventa più facile, perché l’oggetto realizzato diventa tutt’uno con il suo destinatario.
C’è come un gioco nel gioco: mi diverto a sfidare il mio interlocutore virtuale, a cercare di stupirlo, di farlo divertire. Un buon enigma, per esempio, è quello che fa divertire di più il solutore. Se propongo per esempio una crittografia mnemonica a uno che non ama l’enigmistica, lo farò solo annoiare; se la propongo invece alla persona giusta, so già che si divertirà; dal suo divertimento io trarrò quindi soddisfazione, e l’anello creativo arriverà così alla sua chiusura. Ok, mi sa che abbiamo preso una china troppo “filosofica”… meglio se torniamo su argomenti più leggeri!

7. Un paio di domande per cazzeggiare un po'. Su internet scrivi col nick Lupigi: qual è l'etimologia del nome? E' semplicemente l'aggiunta di una "p" al tuo nome? Seconda domanda: ho visto la tua striscia "Fumetti pallosi", di cui mi ricorderò per sempre 2 vignette in particolare (quella del cibo scaduto in frigo e quella di Candy Crash a letto). Volevi essere più famoso di Zero calcare?

Per anni mi sono firmato “LUP” nelle schermate finali dei videogiochi da bar (che permettevano solo nomi di tre lettere): la scelta della P ha alle spalle una lunga storia che qui ometterò, e che riguarda fratelli maggiori di amici d’infanzia, una inquietante filastrocca e un inverno passato al mare. E un ananas.
Da lì in avanti, in molti al mio paese leggendo queste “firme” hanno iniziato a chiamarmi “Lupigi”, e a questo soprannome col tempo mi sono affezionato, finendo per usarlo anche in rete.
Riguardo ai fumetti, disegno ovviamente da sempre, e da sempre invento intere testate a fumetti (qua un esempio del 1984, solo per stomaci forti: http://lupigi.livejournal.com/19720.html). Ho anche un oscuro passato di frequentatore dell’Accademia Disney, ma per fortuna questo è un argomento che esula del tutto dal tema di questo sito, e quindi glisserò abilmente lasciando sottintendere misteriose e innominabili vicende. Sappiate solo che c’entra un ananas.
Lascio a tutti i lettori invece il link ai Fumetti Pallosi con il monito di non aspettarsi niente di che, visto che mantengono esattamente ciò che promettono, cioè la noia: http://fumettipallosi.org.
In ogni modo, sono molto contento di non essere famoso come ZeroCalcare; tutto quel successo mi darebbe molto fastidio, come disse la volpe all’uva.

8. E ora una domanda pepata su The Golden Ages. Leggendo qua e là su internet, ho trovato delle lamentele su alcuni componenti. Lo so che l'autore non ha alcuna responsabilità a riguardo, ma tu che ne pensi di questa storia?

Preciso che le lamentele non sono sui componenti in assoluto, ma sulla effettiva compatibilità dell’espansione con il gioco base. L’equivoco nasce dal fatto che l’espansione è stata prodotta in concomitanza con la nuova edizione del gioco (uscita in America, Germania e Spagna); gli editori della nuova edizione hanno fatto alcune modifiche ai materiali del gioco base e quindi l’espansione italiana (che condivide la produzione con le altre edizioni) è un po’ difforme da quanto ci si aspettava. A meno però di un mazzo di carte da sostituire (e che viene distribuito gratuitamente a chi compra l’espansione), l’espansione è già adesso perfettamente giocabile insieme alla prima edizione del gioco base.
Tutto ciò premesso, credo che l’editore italiano si sia impegnato al massimo e che non gli possa essere imputata alcuna colpa: lui stesso ha scoperto che alcuni pezzi erano difformi solo dopo che le scatole sono state consegnate… Ergo Ludo distribuirà perciò gratuitamente nei prossimi mesi un kit di upgrade che sostituirà tutti i pezzi “incompatibili” dell’espansione. Sulla tempistica precisa, spero che possa essere comunicata al più presto.

A chi continua a lamentarsene con me, chiedo per l’ennesima volta: per favore, io vorrei parlare del gioco e delle scelte di design, vorrei sapere se vi state divertendo a giocarlo oppure no, e non se i cubetti sono di 1 mm più grandi degli altri. Grazie. :)

9. Domanda all'autore Luigi Ferrini: qual è il tuo modo di sviluppare giochi? Hai qualcosa che ti caratterizza? Dicci anche un tuo punto di forza e un tuo punto debole come autore.

Di solito i miei giochi partono da una singola idea, che può essere una ambientazione, una meccanica, o un altro fattore imponderabile. Il mio preferito tra questi fattori imponderabili è quello di partire dalla fine, cioè… dal titolo del gioco! Però raramente dà buoni risultati…
Una volta definita l’idea di partenza, la parte più difficile è arrivare a un prototipo che la sviluppi; molti dei miei giochi si fermano a questo punto, perché magari mi accorgo che l’idea semplicemente non funziona, o non funziona come pensavo. Se invece il primo prototipo gira in modo decente, l’80% del gioco è pronto: per fare il restante 20% però servirà… l’80% del tempo, che sarà impiegato nella parte più faticosa, cioè il raffinamento successivo, la limatura, il playtest…
Ecco, un mio punto debole è sicuramente questo: tendo a essere sopraffatto dalle idee ma sono poi abbastanza incostante nella loro realizzazione, per cui ho i cassetti pieni di progetti “in progress” e pochi di essi arrivano a compimento. Un mio punto di forza è invece che non mi affeziono in modo ostinato alle idee: sono capace di buttare e rifare da capo un progetto anche cento volte per farlo diventare come voglio (con The Golden Ages, per esempio, ho fatto 16 versioni delle regole base, alcune delle quali hanno stravolto il gioco in modo devastante).

10. Domanda al giocatore Luigi Ferrini: che tipo di giocatore sei? Quali sono i tuoi giochi preferiti?

Sono decisamente un giocatore compulsivo (oltre che logorroico… ma quanto ho scritto finora?!). Non c’è un genere che realmente prediligo: vedo il gioco come uno strumento per il divertimento di un gruppo, e la scelta di uno specifico gioco è quindi situazionale: quindi ben vengano party games, giochi per bambini, giochi per giocatori, giochi astratti, giochi di ruolo, german, american… non mi faccio problemi, solo mi chiedo se il gioco che propongo sia o meno adatto a chi lo giocherà insieme a me.
Insomma… gioco per divertirmi! :)

11. Per finire, la classica domanda: progetti per il futuro?

C’è un progetto veramente grosso in ballo, del quale finalmente si può parlare (almeno un pochino): a Lucca 2016 uscirà il gioco da tavolo ufficiale di Zagor, opera del sottoscritto in coppia con il bravissimo Daniele Ursini; l’editore è Ergo Ludo. Il gioco sarà un semi-cooperativo ispirato a un episodio storico dello Spirito con la scure; sarà un gioco di media difficoltà, che vorremmo potesse interessare tanto i lettori di Zagor quanto il pubblico dei giocatori che non conoscono il personaggio. Insomma, non sarà il classico “giochino scemo fatto per sfruttare il brand”.
Inoltre ci sono altri progetti su cui sto lavorando: uno è un party game “minimale” (della famiglia di Love Letter, per capirsi), poi ci sono un gioco da tavolo “family”, un german “classico” con un insolito twist, un gioco di dadi... e un sacco di altra roba!

Grazie, Luigi, per questa chiacchierata. Ora non ti resta che regalare un saluto particolare a tutti i lettori di Idee Ludiche!

Ciao, lettore di Idee Ludiche! Non so come tu abbia fatto a sopportare tutti questi miei sproloqui e arrivare ancora vivo alla fine della lettura! Se non hai letto realmente tutta questa intervista, non dovresti essere qui: torna alla domanda 1. Se hai la Spada del Sole e vuoi usarla, vai al 234.