In questi cinque anni di Idee Ludiche
siamo stati capaci di realizzare più di 80 interviste ai protagonisti del mondo
ludico italiano ed internazionale. Durante le nostre chiacchierate con quanti si
possono a buon merito definire autori affermati, che hanno fatto cioè dell’inventare
giochi la loro professione, abbiamo spesso affrontato il tema del game design.
La domanda che abbiamo più
frequentemente rivolto loro è sicuramente stata: “dacci una tua definizione
di game design”.
Oggi abbiamo voluto raccogliere
alcune delle risposte più significative che questi Autori con la A maiuscola ci
hanno dato nel corso degli anni. Alcuni (come Andrea Chiarvesio) si sono soffermati cercando di dare definizioni
complete su più livelli, altri (come Antoine
Bauza) ci hanno dato risposte più brevi ed evasive, altri ancora (come Marco Donadoni) hanno parlato del game
design dal punto di vista della formazione.
Questo articolo non mira ad
esplicitare in modo esaustivo cosa sia il game design, il suo scopo è unicamente
quello di condividere una bella e divertente carrellata di opinioni su un tema che,
come vedrete, assume una connotazione ed un’importanza diverse da persona a
persona.
Dunque cari Autori, qual è la vostra
personale definizione di game design?
Leo Colovini:
Beh, difficile dirlo in poche righe.
Nel mio libro "i giochi nel cassetto" dico che un autore di giochi
dev'essere come un fotografo che quando osserva la realtà che lo circonda la
immagina racchiusa in un rettangolo 10x15. L'autore di giochi deve fare lo
stesso, riducendo le dinamiche della vita in meccanismi essenziali e
soprattutto ordinati.
Spartaco Albertarelli:
E' una
professione, qualcosa di diverso dal “semplice” processo creativo che porta
alla creazione di un gioco, infatti, parlando di me stesso, non uso quasi mai
il termine “autore”. Per me progettare un gioco è un esercizio più completo che non
quello della sola creazione delle regole. Game design significa mettere in
pratica competenze tecniche, conoscenze psicologiche, capacità di sintesi,
gusto artistico e tutta una serie di altre conoscenze che maturano nel tempo. Significa studiare prima di tutto i
giocatori e non semplicemente dare sfogo alla propria creatività.
Andrea Chiarvesio:
Un
piacere, qualcosa che non riesco a fare a meno di fare… :)
Uhm forse
tu - e chi ci legge - si aspetta una risposta un po’ più filosofica, del tipo
“qual è l’essenza del game design”?
Ci sono
mille risposte possibili, tutte valide.
E’ un
mestiere, tanto per cominciare, molto creativo ma pur sempre un mestiere. Che
ha le sue regole, di cui molte si apprendono con l’esperienza.
E’ una
forma di espressione di sé, un modo per creare mondi regolati da un insieme di
norme, di raccontare storie con un mezzo diverso dal romanzo o dal cinema o da
una canzone ma pur sempre un modo per esprimersi, quindi anche un’arte, se
vogliamo.
Da qui
deriva la domanda sul game design che tutti fanno: arte o mestiere? Credo che
l’unica risposta possibile sia: entrambi (come per lo scrivere, il fotografare,
dipingere, comporre canzoni ecc…).
Provo a
leggere la domanda come “cosa fai tu quando dici a te stesso ‘sto facendo game
design’?”
Credo che
sia cercare di fornire ad un pubblico (magari anche solo te stesso ed i tuoi
amici) un insieme di regole e materiali che vada a creare un “mondo” ludico,
possibilmente: coerente, funzionante e funzionale, divertente, originale per
quanto possibile.
Ignacy Trzewiczek :
Un lungo
processo di duro lavoro, frustrazione, delusioni che a un certo punto si spera portino
ad un lieto fine e alla creazione di qualcosa di divertente.
Ted
Alspach:
Il game
design è costruire una storia giocabile, dove ogni giocatore tesse un diverso
arco narrativo di quella storia e quello con la migliore narrazione diventa il
protagonista e vincitore.
Antoine Bauza:
La mia definizione “breve” è di sicuro : “È
tutta una questione di far sì che le persone si divertano”.
Bruno Cathala:
Per quanto mi riguarda il game design è simile
allo story telling (narrare storie), ma in questo caso i giocatori sono gli attori di queste storie.
Matthias Cramer:
La formula magica
del game design è molto semplice : playtesting, playtesting e ancora playtesting.
Se non hai difficoltà a trovare persone disposte a “playtestare” i tuoi giochi
sei già nella direzione giusta.
Tom Lehman:
Non mi preoccupo
particolarmente delle definizioni. Il mio scopo è sempre di creare un game play
avvincente con strategie multiple e decisioni interessanti da ponderare, che
forse possa “raccontare una piccola storia”.
Martin Wallace:
Se mettete a nudo un gioco fino al
nucleo quello che ottenete è un insieme di condizioni di
vittoria e poi un sacco di regole per rendere meno evidente quale
sia il modo migliore per soddisfare tali condizioni. Tuttavia,
un gioco deve essere anche stimolante, e questa è la parte più
difficile riguardo la progettazione di un gioco.
Uwe Rosenberg:
Riunisco insieme
varie idee in modo che idealmente possano dipendere tutte le une dalle altre.
Ci sono tante buone idee, ma i giochi veramente buoni nascono solo se esse
vengono amalgamate in modo ideale. Quando invento procedo sviluppando un’idea
“stimolante” (…). Intorno a questa idea “stimolante” sviluppo un tema e la
guarnisco con altre piccole idee che si adattano a quello specifico tema.
L’idea cardine è invece l’elemento “WOW!” del gioco, è quella che salta agli
occhi, che al primo impatto stimola l’impulso di comprare. Anche se non deve
essere necessariamente il motore trainante del gioco. (…)
Marco Alberto Donadoni:
(A Marco
abbiamo in realtà chiesto: cos’è per te il GAME DESIGN e come rientra nell’ottica
del concetto di formazione?)
Come ha
detto giustamente qualcuno, un gioco è sempre un meccanismo che simula qualcosa:
la differenza fra progettare gioco da mercato e gioco da formazione è forse
l’inversione dei punti di partenza. Nel primo caso può essere che si decida
come una certa idea/metafora, ad esempio la conquista del West via ferrovia,
sia un tema divertente e markettaro, quindi si progetta un gioco in cui
nell’analisi delle attività si inseriranno soldi e relazioni fra giocatori per
vedere chi è più abile a diventare per primo un miliardario. Nel secondo può
succedere che, partendo dall’esigenza di mettere sotto analisi le capacità soft
di partecipanti all’aula in tema di relazione e gestione finanziaria, si studi un progetto di gioco d’aula che usi
una metafora utile a questo scopo, ad esempio la conquista del West via
ferrovia.
Un’
ulteriore e significativa differenza sta
nel fatto che alla fine del primo caso ci si accontenta di esser contenti di
aver vinto o perso, nel secondo si deve lavorare su cosa è successo per
identificare cosa ha fatto vincere o perdere.
Per il
resto l’approccio al tema è quasi identico.
Analisi:
cosa rappresenta il tabellone? cosa sono i giocatori? qual è l’obiettivo? quali
sono le risorse da usare?
Sviluppo:
quante mosse può durare? come si coinvolgono tutti fino alla fine? c’è
bilanciamento fra le parti? L’obiettivo scopo del gioco è raggiungibile?
In più un
gioco formativo deve tenere conto di un elemento importante: che i partecipanti magari non sono venuti
spontaneamente con la voglia di giocare, magari hanno i loro cavoli in testa,
magari odiano il gioco, magari hanno paura di essere giudicati in base ai risultati… quindi regole semplici,
riferimenti il più possibile chiari a grandi meccanismi noti (tipo la scopa,
Monopoly, la ghigliottina di Conti su Rai1, Trivial e così via) che non fanno
perdere tempo su regolamenti sconosciuti, attenzione - se è quello il caso - a
spiegare che non si gioca per vedere chi è più bravo ma per aiutarli a crescere
insieme, anche scontrandosi fra loro.
Come vi avevo anticipato non è
semplice dare una definizione univoca del concetto di game design.
Gli Autori italiani hanno risposto in
modo più approfondito ed attinente alla domanda, spiegando come il game design sia
una professione e necessiti, per essere svolto nel migliore dei modi, di
competenze specifiche che maturano grazie all’esperienza ed allo studio.
Gli Autori stranieri hanno invece più
che altro spiegato a cosa puntano nel realizzare un titolo e quali vie percorrono
per arrivare a progettare e sviluppare un gioco, ma questa differenza
probabilmente è dovuta sia ad un “problema” di comunicazione (è già difficile realizzare
interviste con autori italiani, figuratevi proporle ad autori che stanno dall’altra
parte dell’oceano!) che di traduzione, ovvero in inglese la domanda “give us your
definition of game design” può essere anche intesa come “definisci cosa sia per
te la progettazione del gioco da tavola”, il che ha portato a risposte molto più
variegate ma assolutamente interessanti.
Ammetto che è stato davvero piacevole
rileggere e riunire queste testimonianze raccolte nel corso di un lustro di
attività; non so voi, ma mentre le stavo assemblando più di una volta mi è
venuto da chiedermi “chissà se qualcuno di loro nel frattempo avrà cambiato idea?” :)
Un saluto a tutti,
Max_T
pro Bauza forever!
RispondiEliminaMi fa riflettere l'ultimo pensiero di Donadoni: lo quoto in pieno, almeno riguardo il game design per la massa o per chi gioca solo a Natale.
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