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giovedì 30 aprile 2015

... AND BENEDETTO PLAYS... (5)


 
Colori sbiaditi.
I bimbini giocano a rincorrersi sulla riva del lago durante una bella giornata di Primavera.

Sul tavolo apparecchiato da pic nic, gli adulti fanno spazio per porre sul piano una piccola tessera un po’ consunta sugli angoli.
Le pedine di legno, a forma di ometti tozzi e paffuti, hanno perso il loro colore originale, e stanno un po’ mobili sul contapunti curvo dall’umidità accumulata in tutti quegli anni.

I bambini raggiungono il tavolo, uno di questi ride, si avvicina troppo all’obbiettivo e va fuori fuoco.
Si alternano scene di familiari attorno al tavolo che se la ridono, bambini vocianti.

La camera si fissa sulla zia, che fa un dolce sorriso e s’imbarazza davanti all’occhio dell’8 millimetri.
Proprio in questo momento la pellicola inizia a traballare.

Il cameraman fa qualche commento scherzoso alla zia, pone qualche domanda, come in quelle interviste che facevano sulla vecchia RAI. E lei risponde prendendo la scatola del gioco in preparazione, ridacchia imbarazzata, si copre la faccia con il coperchio.
“Signorina, non s’imbarazzi! Come si divertono i giovani d’oggi?”

Dalla scatola rispunta il viso grazioso della zia, cerca di stare allo scherzo dell’improvvisato regista, che sarebbe, manco a dirlo, quel bischero dello zio.
La zia risponde con tono sicuro e cantilena da valletta televisiva:

“i giovani d’oggi si divertono con Carcassonne”.
Anacronismo is the new black.

Proprio come questo bel disco di Sufjan Stevens, “Carrie & Lowell” che nel 2015 ti propone l’ennesima raccolta di musicarelli che, fin dalla copertina, ti invita a tuffarti nel fantastico mondo della nostalgia, ti sembra di trovarti in mezzo a una scenetta di quelle malinconiche dei telefilm sentimentali, oppure ti immagini di essere sdraiato su un prato verde accanto a una donzella, che ridete e guardate il cielo e il Dolly sale verso l’alto.
Come in Inception, questo disco vorrebbe innestarti dei ricordi di eventi che non hai mai vissuto, tristi o felici che siano, introducendoti nelle orecchie chitarre arpeggiose, voci delicate, coretti bucolici, banjos, pianoforti che fanno du’ note al posto giusto (qui c’è l’insegnamento del grande Nick Drake, con l’album “Pink Moon”, che tutti dovrebbero ascoltare in posizione fetale con gli occhi gonfi di lacrime).

Carcassonne fa la stessa cosa: sembra un gioco d’antan, che ci giocavano i genitori da piccini, e sapeva di vecchio anche quasi 15 anni fa. E forse sta qui il successo di Carcassonne, quando maneggi quelle tessere con i paesaggi verdi e distesi, e i fiorellini, e le casette, ti sembra di vedere la tua vecchia casa di campagna dall’alto, quando ti annoiavi d’estate in cascina, facevi due tiri di pallone, o, come me, te ne stavi a terra a inventarti giochini da tavolo per un giocatore, in cui il giocatore stesso vinceva e perdeva contemporaneamente. Che bei tempi.
Carcassonne e “Carrie & Lowell” funzionano perché giocano sull’effetto Ratatouille. Come il topolino dell’omonimo film, che grazie al suo piatto semplice di verdure cotte va a toccare i neuroni sensibili del critico gastronomico, anche i due gioiellini musicoludici proposti ti faranno rilasciare un po’ di sana dopamina e ti faranno distendere i sensi, sempre con una punta di malinconia.

 
La zia muove il suo puzzillo lungo il conta punti, i ragazzini sono tesi, pugni chiusi e labbra strette.

Il nonno si mette le mani nei capelli, la zia indica i fanciulli che esultano saltando e correndo attorno al tavolo.
Si avvicinano in massa davanti alla camera, tengono in mano i puzzilli della vittoria, parlottano disordinatamente. La pellicola traballa sensibilmente, fino a bruciarsi, e a lasciare uno schermo bianco accecante.



Benedetto


Should Have Known Better” di SUFJAN STEVENS

Carcassonne, un gioco di Klaus-Jurgen Wrede per 2/5 giocatori

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